giovedì 7 agosto 2008

Un posto dove appendere il cappello

Un posto dove appendere il cappello
di Lorenzo Cairoli
6 Agosto 2008
‘Da Nazzareno’ (Tagliacozzo) - L’assassino è ritornato! Ed è più in forma che mai!

Di Nazzareno Ricci, alias l’Assassino, scrissi qui e ne scrissi con un affetto e con un trasporto che di rado ho riservato a un cuoco. Nazzareno aveva un ristorante alla Balduina, a cinquecento metri dalla ‘Pergola’ di Beck, con l’anomalia di due insegne diverse; in una, in un neon acido e triste, era ‘L’assassino’ nell’altra ‘La Serenissima’. Il sabato sera chiudeva il locale, calava la saracinesca, montava sul furgone e andava nel suo ranch di Tagliacozzo. Il lunedì mattina tornava con l’Abruzzo stipato nel furgone e la sera te lo serviva in tavola.
Da lui ho visto avvicendarsi golosi da ogni latitudine; da Gillo Pontecorvo a Vittorio Cecchi Gori, da Pete Sampras alle sorelle Williams, dalla Navratilova al prefetto di Roma, da Tornatore a Baricco.
Da lui ho mangiato sottobanco il tasso e l’istrice, ho esultato nell’assaggiare le sue mitiche peschelle tartufate (molti scambiavano le peschelle di Nazzareno per olive, in realtà erano pesche che l’assassino raccoglieva dagli alberi quaranta giorni dopo la fioritura, faceva bollire in un court-bouillon di vino e aceto e poi metteva a decantare in olio tartufato. Il risultato? Strepitose!). Mi ripeteva sempre: “Perché la mia amatriciana è un mito? Perché uso il guanciale vero. Il mio guanciale. Il mio pecorino. I miei pomodori. Dagli altri compro solo il sale e la pasta. Gli altri dagli altri invece comprano tutto. Puoi essere anche Beck (NB lui lo chiama Becker – sarà la grande amicizia che ha coi tennisti che tutte le volte gli fa storpiare il cognome?) ma senza il guanciale vero, non fai l’amatriciana. Magari è anche buona…magari… però è monca. Un po’ come fare l’Abruzzo e dimenticarsi Teramo “. Mi ripeteva anche: “Pochi cuochi sanno lavorare una bestia. I macellai gliela danno già macellata e tagliata. Io la macello, la squarto. Faccio tutto da me. Non puoi comprare la carne già tagliata… se lo fai, non sei un cuoco. Sei solo uno con un cappello in testa“. Recita Alessandra Martines in un film del marito Lelouch: “Le donne non sono mai medie: le donne sono o belle o brutte, le donne sono estreme. Gli uomini invece…. Ci sono chilometri di uomini medi“. Anche di ristoratori. Chilometri di ristoratori medi. Non Nazzareno.
Quando tre anni fa chiuse il suo locale alla Balduina, per mesi il mio palato girò listato a lutto. Si chiudeva, irrimediabilmente, uno dei periodi più felici ed esaltanti della mia carriera di goloso. Nazzareno me lo confidò una sera, il cappellino da ciclista calzato al contrario, gli occhi bassi, il tono di voce distratto, quasi elusivo. “Vendo tutto, dottò” - e lì per lì pensai a uno scherzo, o allo sfogo di un ristoratore incappato in una giornata no. E invece, nel giro di pochi giorni, sbaraccò dal ristorante che finì nelle mani di una famiglia siciliana, onesti travet della ristorazione ma privi del carisma e dell’istrionismo di Nazzareno. Senza l’assassino, quel locale dove la gente prima attendeva per ore in piedi in attesa che si liberasse un posto, tracollò, diventando uno dei tanti ristoranti medi che aprono e chiudono ogni giorno a Roma. Nazzareno che sognava da sempre di aprire un locale bomboniera dove coccolare al massimo una quindicina di commensali tornò in Abruzzo. Io persi i suoi numeri telefonici e per tre anni non seppi più niente di lui. Pochi giorni fa ero a Roma, in procinto di partire con mia figlia per Gressoney e Nazzareno mi chiama. “Dottò perché non fa un salto in Abruzzo?“. Già, perché non farlo? E appena torno da Kinder, compro un biglietto Tagliacozzo che è a un’ora e mezza di treno dalla capitale. E qui, mi attende una sorpresa. Mi aspettavo di essere accolto da un Nazareno bucolico nel suo ranch e invece scopro che l’assassino la ristorazione non l’ha mai abbandonata. Venduto il locale della Balduina e trasferitosi in Abruzzo, mise gli occhi su pizzeria fatiscente alle porte di Tagliacozzo. Una pizzeria-bomboniera? Macché. Un locale da più di duecento coperti, con una cucina-hangar dove la nazionale di tennis da tavolo potrebbe allenarsi in vista dei prossimi mondiali. Qui Nazzareno si sbizzarisce col pesce che gli arriva tre volte la settimana freschissimo - ricordate cosa diceva?: “Il pesce lo porto da San Benedetto del Tronto. Voglio sempre il pesce dell’Adriatico, ad eccezione della spigola che cucino solo se me la portano dal Golfo di Gaeta. Il pesce d’allevamento? Non lo darei nemmeno ai gatti “ La pensa sempre così. Ieri, cambia fornitore di pesce e l’incauto che non lo conosce gli manda degli affumicati tipo marlin, pesci dell’Atlantico e spigole allevate nelle vasche di Orbetello. Appena Nazzareno vede quella roba, gli va per traverso di cappellino. Si attacca al telefono, strilla, lancia anatemi e gli rimanda tutto indietro. Tra le gemme della cucina marinara di Nazzareno carpacci di branzino della costa amalfitana, di scorfano del Tirreno, di fragolini, di tonno, di pesce spada, scampi e mazzancolle crude, ostriche, granceole, granchi, gamberi rossi di Sicilia, tartufi, ricci di mare del Cilento, cannolicchi (solo nostrani), sapidissime linguine alla pescarese (scampi e mazzancolle sgusciate e vongole veraci), riso alla crema di scampi (ma con quella vera, lavorata con scampi freschi macinati e non con le solite anodine cremine furbe e industriali) riso alla pescatora (tutto pesce fresco misto), strepitosi gnocchetti con astice sardo, spigole al guazzetto, scampi in crosta di sale grosso, una regale spigola spinata con farcia di crostacei che avrebbe fatto acquolinare Escoffier, involtini di rombo con gambero rosso di Sicilia al sentore di Cognac, San Pietro con salsa di acciughe e asparagi, filetti di orata in crema di cipolle dolci e more.
Ma per chi non stravede per il pesce, Nazzareno offre un percorso degustativo di montagna con una mitica amatriciana, rigatoni alla tagliacozzana, forse il piatto che in questi giorni ho amato di più, ragù d’agnello tagliato in punta di coltello e marcetto, un formaggio abruzzese che si ottiene stagionando il pecorino e che si presenta cremoso e piccante, dall’odore caratteristico forte e penetrante.
Gli affettati sono come sempre uno dei vanti della casa, leggendarie invece le carni, piemontesi, marchigiane, chianine. Se ordinate bistecche o fiorentine, occhio. Non vi arriva in tavola della carne, ma dei serbatoi della Land Rover.
© Lorenzo CairoliScritto Mercoledì, 6 Agosto, 2008 alle 12:41 in I migliori cuochi della nostra vita, Cibario italiano.
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